Lettori fissi

mercoledì 10 luglio 2013

UN NUOVO APPROCCIO AL DIRITTO ED ALLA PROFESSIONE LEGALE: IL "COMPREHENSIVE LAW APPROACH"

il “Comprehensive Law Approach”

A partire dall’ultimo decennio è andato affiorando un nuovo modo di intendere la professione legale, fondato su un approccio al diritto globale, integrato, umanistico, interdisciplinare, riparativo e spesso terapeutico
Questo approccio è il risultato della sintesi di alcune nuove discipline che hanno rapidamente guadagnato visibilità, consenso e popolarità e che rappresentano emergenti, nuove o alternative forme di esercizio della professione legale, di risoluzione dei conflitti e di giustizia.
Gli Strumenti con cui viene veicolato questo nuovo modo di intendere la professione legale sono:
°Collaborative Law
°Preventive Law
°Procedural Justice
°Transformative Mediation
°Creative Problem Solving
°Therapeutic Jurisprudence
Esaminiamoli singolarmente
°Collaborative Law Si tratta di un metodo utilizzato soprattutto nei casi di separazione e divorzio. in queste ipotesi i soggetti coinvolti si trovano nella condizione di dover elaborare un modo per risolvere i loro contrasti su tutte le questioni rilevanti. In siffatto contesto, il collaborative law è configurato per minimizzare il conflitto, lavorando allo stesso tempo per il conseguimento dell’obiettivo di cui sopra. Le parti e i loro avvocati si impegnano dunque ad effettuare, in buona fede, un tentativo di raggiungere una soluzione accettabile da tutti senza dover instaurare una lite innanzi a un giudice. Lavorando insieme, si sforzano di giungere a un accordo che soddisfi gli interessi non solo giuridici e finanziari ma anche emotivi di ciascuno. Preliminarmente, le parti e i loro avvocati sottoscrivono un accordo in base al quale si impegnano a scambiarsi tutte le informazioni finanziarie pertinenti; a mantenere l’assoluta riservatezza riguardo tutto ciò che accadrà durante il procedimento, così che ciascun partecipante possa sentirsi libero di esprimere le proprie necessità e preoccupazioni; a tentare di raggiungere un accordo scritto su tutti i punti rilevanti al di fuori di un procedimento giudiziale contenzioso, autorizzando nel contempo gli avvocati ad utilizzare poi l’accordo eventualmente sottoscritto di fronte al giudice per ottenere il provvedimento di separazione o divorzio.
°Preventive Law Questo approccio cerca di evitare o prevenire la lite. Si chiede quali misure possano essere approntate per prevenire future controversie o futuri problemi legali. Consente agli avvocati di intervenire nelle vite dei clienti prima dell’insorgere dei problemi; al cliente possono essere così risparmiati gli effetti traumatizzanti di un contenzioso. Il preventive law enfatizza il ruolo della relazione avvocato-cliente, delle relazioni in generale e della pianificazione. Esso prende inoltre in considerazione il fatto che le relazioni interpersonali, come quella tra marito e moglie, o tra datore di lavoro e lavoratore, potrebbero perdurare anche dopo le difficoltà contingenti, e dunque che una “soluzione” la quale comporti oggi una compromissione irreparabile del rapporto potrebbe condurre in futuro ad altri problemi legali, rivelandosi pertanto una non-soluzione.
°Procedural Justice Questo approccio suggerisce che la lite in sé non è necessariamente quel che le persone vogliono dalla legge; piuttosto esse vogliono avere l’opportunità di raccontare la loro storia, di essere trattate con rispetto dalle autorità e che la decisione eventualmente presa nei loro confronti da un terzo sia loro spiegata in termini comprensibili Non si tratta, di per sé, di un modo di praticare la professione o amministrare la giustizia, ma le sue intuizioni hanno rilevanti conseguenze per gli avvocati, i loro clienti e i magistrati.
°Transformative Mediation L’approccio trasformativo alla mediazione non ricerca la risoluzione del problema immediato, ma piuttosto persegue il “potenziamento” e il “reciproco riconoscimento” delle parti coinvolte. Potenziamento significa rendere le parti capaci di definire da sé le questioni che le interessano e di cercare da sé le relative soluzioni. Riconoscimento significa invece mettere le parti in grado di diventare consapevoli del punto di vista dell’altro e di capirlo; di comprendere come l’altro concepisce il problema e perché ricerchi una data soluzione (senza che ciò, si sottolinea, comporti l’essere d’accordo con quel punto di vista). Spesso, Potenziamento e Riconoscimento preparano la strada per una soluzione reciprocamente accettabile, ma questo, per la mediazione trasformativa, è solo un effetto secondario. Lo scopo principale della mediazione trasformativa rimane infatti quello di promuovere il potenziamento e il reciproco riconoscimento delle parti, mettendole così in grado di affrontare il loro problema corrente, così come i problemi successivi, con una visione più forte e al contempo più aperta. Nella mediazione trasformativa, la responsabilità in ordine ai risultati ricade direttamente sulle parti.
°Creative Problem Solving I media sono soliti ritrarre gli avvocati come “combattenti”. Sebbene questo ruolo sia qualche volta il più appropriato, i clienti e la società sempre più oggi richiedono d’altra parte agli avvocati di accostarsi in maniera più creativa ai problemi, senza rimanere confinati esclusivamente in quel ruolo. Altre dimensioni possibili per l’avvocato sono, per esempio, quelle del problem solver e del designer. Il Creative Problem Solving è una metodologia che consente di lavorare individualmente oppure in gruppo in modo creativo ed efficace, aumentando la capacità di trovare soluzioni innovative e non convenzionali ai problemi che si stanno discutendo. Questa metodologia permette di: migliorare le capacita di analisi e individuazione dei problemi; identificare le soluzioni; valutare l’efficacia e le possibilità di implementazione; scegliere e approfondire le soluzioni valutate più efficaci. Il Creative Problem Solving si articola di quattro attività fondamentali: 1. Analisi dei problemi
2. Definizione dei problemi
3. Proposta di idee-progetto
4. Progettazione
°Therapeutic Jurisprudence Per therapeutic jurisprudence, “diritto psicoterapeutico”, si intende lo studio del ruolo del diritto come agente terapeutico. Tale disciplina si focalizza sull’impatto che il diritto ha sulla vita emotiva e sul benessere psicologico, aree sinora oggetto di scarsa attenzione, preoccupandosi del lato umano, emozionale e psicologico del diritto e della giustizia. Fondamentalmente, il diritto psicoterapeutico è una prospettiva che considera la legge una forza sociale generatrice di comportamenti e conseguenze. Qualche volta queste conseguenze ricadono nell’ambito di ciò che viene definito terapeutico; altre volte, nell’ambito di ciò che invece è antiterapeutico. Questo approccio richiede che si sia consapevoli di ciò e che, pertanto, si cerchi di capire se le leggi possano essere scritte e applicate in accordo a un punto di vista maggiormente terapeutico. Il diritto psicoterapeutico vuole essere quindi una maniera di guardare al diritto in un modo più ricco, portando all’attenzione alcuni di quegli aspetti che precedentemente rischiavano spesso di passare inosservati

(Inrnerio)

mercoledì 11 agosto 2010

L'AVVOCATO STAKANOVISTA FA MALE AL CLIENTE?


Tutti a correre dietro all'ultima diavoleria tecnologica, così da poter essere sempre in contatto col mondo o, alla peggio, così da poter risparmiare tempo investendolo in ulteriore lavoro...
E' noto come questo produca stress nell'individuo e ciò, già di per sé, non è certo una condizione ottimale per la salute del soggetto.
Ma quel che viene sostenuto ora dal CEO Margaret Heffernan, sulle colonne del sito del CBS Interactive Business Network, è che, alla lunga, una tale insostenibile policy danneggi anche il cliente. Un fattore che tutti i professionisti - e gli avvocati non fanno certo eccezione - dovrebbero tenere in considerazione.

Il suo ragionamento parte dagli studi effettuati nell'ultimo secolo, tutti concordi nell'affermare che, oltre le 40 ore settimanali di lavoro, la qualità dello stesso inizi a risenirne. Ed ecco perché innalzare la quota a 50 o a 60 ore rappresenterebbe un inutile dispendio di energia, in quanto tale surplus di tempo servirà prevalentemente a correggere gli errori provocati dalla stanchezza e dal conseguente calo di attenzione, creando così un circolo vizioso.

Un'altro aspetto sottolineato dalla Heffernan è che il cosiddetto 'multitasking' sia controproducente e causi solo distrazione. Del resto anche molti guru americani del marketing, come ad esempio Eben Pagan, affermano ormai da anni la stessa cosa. Perciò, anziché in un risparmio di tempo, dedicarsi a più operazioni contemporaneamente si tradurrebbe in un paradossale rallentamento della produttività.

Infine - nota la CEO - il distacco prolungato da certi problemi spesso porta con sé la chiave per risolverli. E questa, bisogna riconoscerle, è semplice saggezza antica di cui in troppi tendiamo quotidianamente a dimenticarci.

L'articolo della Heffernan non ha mancato di suscitare commenti polemici proprio da parte di alcuni avvocati, i quali hanno dichiarato che, se dovessero attenersi alle 40 ore lavorative, perderebbero ben presto tutti i propri clienti. Ma sarà davvero così? Qualcuno ha mai fatto la controprova? O semplicemente, i suddetti colleghi americani si fanno condizionare dalla paura e da una mera ipotesi generata da essa, senza in realtà avere alcun dato concreto per poter fare una simile deduzione?

Una cosa è certa: ripetuti errori conducono inevitabilmente all'insoddisfazione e, in ultima battuta, alla perdita del cliente.
Se diluire le prestazioni possa servire a minimizzare tali errori, e quindi a evitare la fuga dal proprio portafoglio-assistiti, è forse tesi tutta da dimostrare, ma sicuramente non da scartare a priori.

(Bartolo da Sassoferrato)

QUASI TRECENTO CAUSE PER IL DISASTRO NEL GOLFO DEL MESSICO


Il foro di New Orleans è solitamente considerato, da molti avvocati, più favorevole agli attori che ai convenuti. E proprio in questo foro sono state incardinate quasi trecento cause, nei confronti di British Petroleum PLC - la compagnia responsabile del disastro ecologico nel Golfo del Messico - e altri convenuti.

Inoltre, poiché New Orleans si trova a soli 130 chilometri di distanza dall'epicentro della castastrofe, gli avvocati attorei hanno pensato che i potenziali giurati sarebbero stati meglio disposti verso i loro clienti, in quanto molti residenti di questa cittadina hanno subito anch'essi danni specifici.

Vani sono stati i tentativi di alcuni convenuti di ricusare il giudice Carl Barbier, che presiederà le udienze.
I convenuti, fra l'altro, avrebbero preferito il foro di Houston, tradizionalmente più favorevole ai colossi petroliferi, anche se la previsione è che, comunque, la maggior parte delle liti verrà transatta.
La città texana sarà invece teatro solamente delle cause avviate dagli azionisti della compagnia petrolifera britannica.

A New Orleans, l'oggetto del contendere sarà principalmente il danno emergente e il lucro cessante da parte di operatori nel settore della pesca, del turismo e della ristorazione. Tuttavia, non mancano citazioni da parte di semplici pescatori, di proprietari di immobili o terreni, e di lavoratori rimasti feriti o di parenti di lavoratori rimasti addirittura uccisi nell'esplosione della piattaforma di trivellazione.

Infine, il giudice Barbier dovrà anche esaminare il comportamento tenuto dalla proprietaria della piattarforma, la Transocean Ltd, per limitare i danni provocati.

Barbier, ex presidente della Louisiana Trial Lawyers Association, venne nominato nel 1998 da Bill Clinton ed è considerato dai colleghi un "eccezionale giurista".

Bartolo da Sassoferrato

martedì 2 marzo 2010

SOGNA PURE LO SHOW BIZ, MA PROCURATI UN AVVOCATO


Questo il succo di un recente articolo apparso sull'Orlando Sentinel, che illustra il trend attuale dello show biz americano. E si sa che, prima o poi, tutto ciò che accade in America accade anche da noi in Europa...

La testata rivela che nel Paese a stelle e strisce si registra ovunque un aumento delle iscrizioni alle scuole per aspiranti sceneggiatori, registi, romanzieri, musicisti... Ma quando si tratta di presentare una sceneggiatura, o di inviare un manoscritto o un demo, ecco che iniziano i problemi. E per risolverli, non c'è nulla di meglio della figura dell'avvocato dello spettacolo, l'entertainment laywer.

Gli artisti, infatti, sono quasi sempre ignari dei rischi strettamente legati al 'business' e tendono a concentrarsi unicamente sulla propria opera, realizzando con sopresa, spesso dopo essere rimasti coinvolti in una vertenza legale, che la creatività e l'Arte oggigiorno vanno a braccetto con molti altri fattori. I rischi di accuse di violazione del marchio o del diritto d'autore sono così dietro l'angolo. Un problema incrementato anche dalle nuove tecnologie e dall'uso di Internet: non si contano, ad esempio, i ragazzi che mettono su Facebook una pagina relativa alla propria band, senza aver prima investigato se quel nome sia già stato adottato.

Oppure, i problemi possono sorgere in fase di cessione di diritti alle case editrici, cinematografiche o discografiche e dunque prima di firmarne i contratti, una controllatina con un esperto sarebbe un'ottima cosa, per non rischiare di legarsi mani e piedi a doppia mandata.

Dal canto loro, queste ultime cercano di tutelarsi preventivamente contro il problema inverso, chiedendo all'artista che propone il suo lavoro di firmare un accordo in cui si garantisce che se la major sta già lavorando a un progetto simile, l'artista rinuncia al diritto di citarla reclamando l'eventuale furto dei propri, analoghi contenuti.

Gli esempi concreti dei pasticci che possono crearsi non si contano: in campo musicale una causa recente è quella che ha visto protagonisti i Men at Work, pop band degli anni Ottanta che molti ricorderanno. I musicisti sono stati citati, e condannati, per aver plagiato una vecchia canzone australiana, la cui linea melodica è finita nel pezzo di flauto della famosa e accattivante canzone Down Under.

Nel mondo dei libri, Dan Brown (Il Codice Da Vinci), Stephenie Meyer (Twiight) o, in Europa, J.K. Rowling (Harry Potter), sono solo alcuni dei nomi che si possono fare e che si trovano alle prese con citazioni, un giorno sì e l'altro pure, da parte di perfetti sconosciuti che il più delle volte cercano di rosicchiare una fetta della gigantesca torta con espedienti patetici, quando non addirittura truffaldini.

E quando le richieste non arrivano da terzi, spesso sono i collaboratori, o gli ex collaboratori, a citare l'artista. Il caso più frequente è quello in cui non si stabiliscono dall'inizio i confini compositivi, col risultato che, se una canzone ha successo, ecco la lotta intestina per stabilire chi l'ha effettivamente scritta, quando nei credits era stata attribuita a un'intera band o a un intero team per il semplice quieto vivere di tutti gli ego coinvolti.

Spesso l'avvocato dello spettacolo finisce per operare addirittura come un agente, perché oltre all'esperienza che quest'ultimo può vantare una conoscenza molto più approfondita della materia legale e alcuni artisti rinunciano alla prima figura ma non rinunciano alla seconda.

(Bartolo da Sassoferrato)

giovedì 3 dicembre 2009

LA CAMPAGNA ANTIPIRATERIA UNIVIDEO


Il giorno 10 dicembre 2009, alle ore 11.00, presso lo Spazio Anniluce in Via Sirtori 32 a Milano, l'associazione Univideo terrà una conferenza stampa sul tema 'Downloading, streaming e file sharing p2p: reperimento illegale di materiale audio-video e consapevolezza dei rischi'.

Saranno toccati argomenti quali il furto d'identità, la violazione della privacy, i danni cui viene esposto il computer e tutti i rischi che si corrono scaricando illegalmente contenuti dalla Rete.

Saranno presentati inoltre i dati di una ricerca una ricerca Euromedia/Iulm volta ad appurare quanto e come i downloader siano consapevoli dei problemi informatici cui vanno incontro.

Alla conferenza interverranno Davide Rossi (Presidente Univideo), Alessandra Ghisleri (Direttore di Ricerca Euromedia Research) e Matteo Brega (Docente IULM e Responsabile Osservatorio dell’Immaginario presso l'Unesco).

Univideo (Unione Italiana Editoria Audiovisiva) è l'Associazione che rappresenta il settore dell'Home Entertainment in Italia e raggruppa al suo interno le principali aziende attive nell’Industria dell'audiovisivo.

A questo link è possibile scaricare l'invito all'evento.

mercoledì 25 novembre 2009

I DIRITTI DELL’INFANZIA ALLA RIBALTA


Due importanti iniziative, questo mese, dedicate ai diritti dei minori, per celebrare il ventennale della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza cui aderiscono 193 Stati, fra cui l’Italia, che l’ha ratificata la il 27 maggio 1991 con la legge n. 176.

La prima iniziativa riguarda l’uscita del volume Non calpestate i nostri diritti, un’antologia di dieci racconti, accompagnati da altrettante illustrazioni a colori.
I dieci temi ispiratori del documento programmatico (uguaglianza, identità, protezione, partecipazione, disabilità, salute, nutrizione e cure personali, istruzione, minoranze, gioco e tempo libero) sono riflessi nei testi in modo da risultare alla portata dei più piccoli e rendere questi ultimi consapevoli di ciò che gli spetta.

La prefazione del volume è stata affidata alla signora Clio Napolitano, che è possibile leggere on line a questo link mentre l’appendice è a firma di Bianca Pitzorno, famosa narratrice per ragazzi, nonché ambasciatrice Unicef in Italia
Promotore dell’operazione è infatti l’Unicef, unitamente al Battello a vapore, collana per l’infanzia che fa capo all’editore Piemme.

I proventi saranno devoluti al progetto 'Scuole per l'Africa' che vede l'UNICEF e la Fondazione Nelson Mandela in prima linea nella lotta contro l'analfabetismo e la bassa qualità dell'istruzione in Africa. Il progetto raggiungerà oltre 4 milioni di bambini in 11 paesi africani.

La seconda iniziativa riguarda il varo del progetto CyberDodo.org, uno spazio digitale interattivo multipiattaforma per bambini, sostenuto da un Dodo animato che ispira quotidianamente i giovanissimi e i loro tutori a proteggere i diritti dei bambini.

La scelta del personaggio non è casuale: infatti questo uccello, originario delle isole Mauritius, nell’Oceano Indiano, era stato scoperto dai conquistatori portoghesi nel 1598. Vissuto fino a quel momento senza essere disturbato da predatori e senza venire a contatto con l’uomo, non aveva imparato a diffidare, con la conseguenza di cadere facile preda dei marinai e dei nuovi animali da questi introdotti nel suo habitat, come cani e maiali. Il suo approccio ingenuo e fiducioso fu scambiato dai conquistadores per stupida temerarietà, e ciò gli valse, oltre all’estinzione avvenuta nel 1681, l’appellativo con cui è conosciuto: in portoghese, doido significa infatti “pazzo”.

Il Dodo virtuale ritorna allora oggi per assicurarsi, come viene spiegato nel video programmatico riprodotto qui sotto, che ciò che è successo alla sua specie, una volta fiduciosa come lo sono i bambini piccoli, “non accada a nessun altra specie vivente” e anche per “garantire il rispetto del pianeta e dei suoi abitanti”.





CyberDodo ha il compito di informare e dare voce ai bambini sulle questioni che stanno loro a cuore, fornendo accesso gratuito a materiale audio-visivo e testuale divertente e intelligente che comprende, fra l’altro, 10 ore di cartoni animati, giochi e file.

Il Dodo parla, al momento, ben quattro lingue: inglese, arabo, francese e spagnolo.

(Bartolo da Sassoferrato)

domenica 15 novembre 2009

VOSTRO ONORE, LEI NON PUO’ ‘TWITTARE’!



Mentre in USA sempre più giudici guardano con favore all’uso di Twitter in aula, la vecchia Albione va in controtendenza.
La BBC riporta infatti la notizia di un magistrate, Steve Molyneux, costretto a presentare le dimissioni, a seguito di formale lagnanza da parte di un collega, per aver usato Twitter messaggiando a proposito di alcune cause trattate dalla corte della cittadina di Telford, nel Shropshire.

Molyneux, che esercita da ben sedici anni, si difende sostenendo di non aver compiuto alcun illecito e di non aver arrecato pregiudizio alle cause in esame, in quanto l’oggetto dei suoi tweet verteva su argomenti già resi di pubblici in corso di udienza.

Le motivazioni del suo gesto sarebbero unicamente dettate dalla volontà di rendere trasparente il sistema giudiziario. In quest’ottica, i suoi tweet sarebbero un servizio alla comunità, la quale, del resto, avrebbe letto le stesse cose attraverso l’edizione serale del quotidiano locale.

In Gran Bretagna, le magistrates court sono le corti penali di grado inferiore formate solitamente da tre magistrati. Sono molto efficienti, perché esauriscono il 95% del contenzioso, garantendo l’ordine sociale delle comunità cittadine. Hanno anche una limitata competenza civile su alcune dispute in materia di diritto di famiglia, sulle scommesse e i giochi d’azzardo e sulla regolazione delle licenze per la vendita di bevande alcoliche.

(Bartolo da Sassoferrato)

giovedì 12 novembre 2009

L'AVVOCATO DA REMOTO


L'idea è venuta a un'avvocatessa di S.Francisco, Andrea Chavez.

Si tratta di uno studio legale - il Virtual Law Partners - i cui membri, organizzati in rete, operano tutti da remoto, grazie a device fissi e mobili che sfruttano la tecnologia più avanzata oggi a disposizione.

Intuibile il formidabile abbattimento dei costi di gestione e le potenzialità del cosidetto time-management a disposizione del singolo.
Ma l'idea funziona davvero?
Pare proprio di sì: dopo undici mesi di attività, lo studio vanta uno staff di ben quaranta avvocati e l'approccio inizia a essere copiato anche da altri studi americani.

Sino ad ora lo 'studio virtuale' si è occupato di transazioni, ma recentemente è stato aggiunto un esperto in diritto del lavoro, il che significa che c'è volontà, spazio e richiesta per esplorare altri terreni.

Può capitare che, in via straordinaria, si richieda allo staff di riunirsi fisicamente, ma si tratta di un'eccezione che la Chavez è ben lieta di gestire nella propria spaziosa casa nei pressi del quartiere di Haight-Ashbury. Mascotte per tali eccezionali eventi, i suoi due cani Riso e Zorro.

"Posso ricevere chiamate dovunque mi trovi" - dice la Chavez, che quando esce a far passeggiare i cani usa apposite cuffie ricetrasmittenti e la cui giornata lavorativa copre poco più di quella di un impiegato, dalle otto di mattina alle cinque di sera.

Ciò che viene risparmiato in termini di costi gestionali viene suddiviso in benefici fra gli avvocati dello staff, cui è lasciato il 65% del proprio fatturato (con un 20% addizionale nel caso in cui gestiscano un intero progetto)e clienti ai quali si offrono prestazioni a costi competitivi (in alcuni casi pare addirittura dimezzati rispetto alla media) senza che la qualità ne risenta.
Il residuo va allo Studio, mentre i costi di assicurazione vengono ripartiti fra tuttii membri.

Senza trascurare l'ottica di molte società americane, lo Studio promuove anche lo sviluppo di stretti legami umani, oltre che lavorativi, fra i membri dello staff, organizzando all'uopo serate e party con le famiglie.

I risultati parlano da soli: mentre gli altri studi legali americani, complice la crisi mondiale, dal febbraio scorso hanno iniziato a foltire gli organici, il VLP ha raggiunto il più alto fatturato realizzato.

(Bartolo da Sassoferrato)

venerdì 6 novembre 2009

UNA LEGISLAZIONE A MISURA DI INTERNET


La straordinarietà del mezzo Internet ha messo a dura prova i vecchi modelli di business.

Gli altrettanto vecchi modelli legislativi hanno tentato sinora di proteggerli non solo senza peritarsi di capire la natura dell’ ‘avversario’ che si parava loro dinanzi, ma – cosa ben più grave - senza nemmeno chiederselo.

E mentre, in questo solco, Usa ed Europa dibattono sull’efficacia e sulla legittimità della dottrina Sarkozy, che intende imporre la disconnessione forzata e preventiva in capo agli utenti sospettati di file sharing (senza peraltro tenere conto delle fallimentari operazioni figlie di quest’ottica, come hanno dimostrato i processi di sapore maccartista promossi dalla Recording Industry Association of America, che non hanno comunque impattato sul fenomeno), dal lato opposto c’è chi si concentra seriamente sull’altra via possibile: assecondare la tendenza e trarre beneficio anziché contrastarla in modo totalitario (e anche molto velleitario, visti i non-risultati ottenuti).

Così, ad esempio, il Canada commissiona ad un’ università londinese una ricerca, i cui dettagli possono leggersi a questo link, per appurare se il file sharing sia davvero dannoso per le vendite dei cd.
I risultati non sono affatto sorprendenti per chi si è sempre avvicinato alla questione senza pregiudizi (il che esclude naturalmente le etichette discografiche): il file sharing, nel complesso, non solo non danneggia le vendite, ma può anzi incoraggiarle. Una cosa che hanno già capito parecchi musicisti e anche alcuni scrittori, come ad esempio Paulo Coelho, che da tempo offre sul suo blog il download gratuito di alcuni suoi titoli, assicurando come questa pratica abbia innalzato le sue già cospicue vendite.
Da allora Coelho è diventato un sostenitore della libera distribuzione come mezzo per incrementare il commercio di opere.

Ad artisti e imprese tocca dunque la sfida di capire come riconfigurare il proprio modello di pensiero, mutuato da abitudini vecchie di secoli. Pena venire irrimediabilmente travolti dall’inarrestabile nuovo che avanza.

Ai giuristi va invece la sfida, affascinante, di ripensare le leggi (a cominciare da quel pezzo da museo della nostra legge sul diritto d’autore) in modo da riuscire a disciplinarlo senza cercare di strangolarlo (mossa non solo controproducente ma assolutamente senza speranza), bilanciando al contempo i vari diritti in gioco e fronteggiando un mezzo che i padri del nostro diritto non potevano neppure vagheggiare nei loro sogni più temerari.

Allargando lo sguardo oltre le problematiche del file sharing ma dell’intero web, c’è da aggiungere che purtroppo, per quanto riguarda l’Italia, permane su questo tema un atteggiamento dettato da paura e ignoranza del mezzo, che ha portato più volte a tentativi di imbrigliamento disastrosi.

Avvisaglie non certo rassicuranti per il nostro futuro.

(Bartolo da Sassoferrato)

martedì 20 ottobre 2009

COME TI INTRODUCO TWITTER IN TRIBUNALE


Gli USA, l'Australia e la Gran Bretagna si dimostrano i Paesi più all'avanguardia per quanto riguarda l'uso di Twitter applicato al campo legale.

Il vero pioniere è stato il giudice federale americano Thomas J. Marten, che la scorsa primavera ha concesso al giornalista Ron Sylvester del Wichita Eagle di usare Twitter per seguire il dibattimento di un processo a carico di una gang e di trasmettere così aggiornamenti in tempo reale alla propria testata.

Sylvester, il cui account su Twitter si trova a questo link, aveva in realtà già usato la piattaforma in altri processi nelle corti statali, ma mai prima d'ora in una corte federale.
Infatti le procedure federali generalmente proibiscono in aula l'uso di telecamere, computer e microfoni, anche se il Congresso sta spingendo per consentire l'introduzione di tali mezzi in tribunale, qualora il giudice lo ritenga opportuno. E Twitter potrebbe essere proprio la testa d'ariete in grado di sfondare il muro di diffidenza delle toghe.

Il giudice Marten, in proposito, ha dichiarato che "maggiore è la misura di ciò che possiamo fare per aprire il processo al pubblico, maggiore sarà la comprensione da parte del pubblico".

In Australia la toga 'illuminata' appartiene invece al giudice Dennis Cowdroy, che ha permesso a due cronisti del ZDNet Australia di usare Twitter per seguire il caso di pirateria che è al suo vaglio.

Cowdroy ha sostenuto che "il pubblico ha un diritto legittimo di essere pienamente informato dei procedimenti, in particolare quelli che hanno attirato un interesse considerevole. Usare Twitter può servire per informare il pubblico in modo più veloce e completo rispetto a ciò che consentono i media tradizionali”.

E sempre a proposito di Twitter applicato alla giustizia, è notizia recente quella di un commentatore politico britannico che avrebbe ottenuto l'autorizzazione del tribunale di inviare un'ingiunzione 'cinguettata' per inibire l'uso di un falso account aperto a suo nome. La testata Punto Informatico ha riportato dettagliatamente la vicenda a questo link.

(Bartolo da Sassoferrato)