Lettori fissi

mercoledì 11 agosto 2010

L'AVVOCATO STAKANOVISTA FA MALE AL CLIENTE?


Tutti a correre dietro all'ultima diavoleria tecnologica, così da poter essere sempre in contatto col mondo o, alla peggio, così da poter risparmiare tempo investendolo in ulteriore lavoro...
E' noto come questo produca stress nell'individuo e ciò, già di per sé, non è certo una condizione ottimale per la salute del soggetto.
Ma quel che viene sostenuto ora dal CEO Margaret Heffernan, sulle colonne del sito del CBS Interactive Business Network, è che, alla lunga, una tale insostenibile policy danneggi anche il cliente. Un fattore che tutti i professionisti - e gli avvocati non fanno certo eccezione - dovrebbero tenere in considerazione.

Il suo ragionamento parte dagli studi effettuati nell'ultimo secolo, tutti concordi nell'affermare che, oltre le 40 ore settimanali di lavoro, la qualità dello stesso inizi a risenirne. Ed ecco perché innalzare la quota a 50 o a 60 ore rappresenterebbe un inutile dispendio di energia, in quanto tale surplus di tempo servirà prevalentemente a correggere gli errori provocati dalla stanchezza e dal conseguente calo di attenzione, creando così un circolo vizioso.

Un'altro aspetto sottolineato dalla Heffernan è che il cosiddetto 'multitasking' sia controproducente e causi solo distrazione. Del resto anche molti guru americani del marketing, come ad esempio Eben Pagan, affermano ormai da anni la stessa cosa. Perciò, anziché in un risparmio di tempo, dedicarsi a più operazioni contemporaneamente si tradurrebbe in un paradossale rallentamento della produttività.

Infine - nota la CEO - il distacco prolungato da certi problemi spesso porta con sé la chiave per risolverli. E questa, bisogna riconoscerle, è semplice saggezza antica di cui in troppi tendiamo quotidianamente a dimenticarci.

L'articolo della Heffernan non ha mancato di suscitare commenti polemici proprio da parte di alcuni avvocati, i quali hanno dichiarato che, se dovessero attenersi alle 40 ore lavorative, perderebbero ben presto tutti i propri clienti. Ma sarà davvero così? Qualcuno ha mai fatto la controprova? O semplicemente, i suddetti colleghi americani si fanno condizionare dalla paura e da una mera ipotesi generata da essa, senza in realtà avere alcun dato concreto per poter fare una simile deduzione?

Una cosa è certa: ripetuti errori conducono inevitabilmente all'insoddisfazione e, in ultima battuta, alla perdita del cliente.
Se diluire le prestazioni possa servire a minimizzare tali errori, e quindi a evitare la fuga dal proprio portafoglio-assistiti, è forse tesi tutta da dimostrare, ma sicuramente non da scartare a priori.

(Bartolo da Sassoferrato)

QUASI TRECENTO CAUSE PER IL DISASTRO NEL GOLFO DEL MESSICO


Il foro di New Orleans è solitamente considerato, da molti avvocati, più favorevole agli attori che ai convenuti. E proprio in questo foro sono state incardinate quasi trecento cause, nei confronti di British Petroleum PLC - la compagnia responsabile del disastro ecologico nel Golfo del Messico - e altri convenuti.

Inoltre, poiché New Orleans si trova a soli 130 chilometri di distanza dall'epicentro della castastrofe, gli avvocati attorei hanno pensato che i potenziali giurati sarebbero stati meglio disposti verso i loro clienti, in quanto molti residenti di questa cittadina hanno subito anch'essi danni specifici.

Vani sono stati i tentativi di alcuni convenuti di ricusare il giudice Carl Barbier, che presiederà le udienze.
I convenuti, fra l'altro, avrebbero preferito il foro di Houston, tradizionalmente più favorevole ai colossi petroliferi, anche se la previsione è che, comunque, la maggior parte delle liti verrà transatta.
La città texana sarà invece teatro solamente delle cause avviate dagli azionisti della compagnia petrolifera britannica.

A New Orleans, l'oggetto del contendere sarà principalmente il danno emergente e il lucro cessante da parte di operatori nel settore della pesca, del turismo e della ristorazione. Tuttavia, non mancano citazioni da parte di semplici pescatori, di proprietari di immobili o terreni, e di lavoratori rimasti feriti o di parenti di lavoratori rimasti addirittura uccisi nell'esplosione della piattaforma di trivellazione.

Infine, il giudice Barbier dovrà anche esaminare il comportamento tenuto dalla proprietaria della piattarforma, la Transocean Ltd, per limitare i danni provocati.

Barbier, ex presidente della Louisiana Trial Lawyers Association, venne nominato nel 1998 da Bill Clinton ed è considerato dai colleghi un "eccezionale giurista".

Bartolo da Sassoferrato

martedì 2 marzo 2010

SOGNA PURE LO SHOW BIZ, MA PROCURATI UN AVVOCATO


Questo il succo di un recente articolo apparso sull'Orlando Sentinel, che illustra il trend attuale dello show biz americano. E si sa che, prima o poi, tutto ciò che accade in America accade anche da noi in Europa...

La testata rivela che nel Paese a stelle e strisce si registra ovunque un aumento delle iscrizioni alle scuole per aspiranti sceneggiatori, registi, romanzieri, musicisti... Ma quando si tratta di presentare una sceneggiatura, o di inviare un manoscritto o un demo, ecco che iniziano i problemi. E per risolverli, non c'è nulla di meglio della figura dell'avvocato dello spettacolo, l'entertainment laywer.

Gli artisti, infatti, sono quasi sempre ignari dei rischi strettamente legati al 'business' e tendono a concentrarsi unicamente sulla propria opera, realizzando con sopresa, spesso dopo essere rimasti coinvolti in una vertenza legale, che la creatività e l'Arte oggigiorno vanno a braccetto con molti altri fattori. I rischi di accuse di violazione del marchio o del diritto d'autore sono così dietro l'angolo. Un problema incrementato anche dalle nuove tecnologie e dall'uso di Internet: non si contano, ad esempio, i ragazzi che mettono su Facebook una pagina relativa alla propria band, senza aver prima investigato se quel nome sia già stato adottato.

Oppure, i problemi possono sorgere in fase di cessione di diritti alle case editrici, cinematografiche o discografiche e dunque prima di firmarne i contratti, una controllatina con un esperto sarebbe un'ottima cosa, per non rischiare di legarsi mani e piedi a doppia mandata.

Dal canto loro, queste ultime cercano di tutelarsi preventivamente contro il problema inverso, chiedendo all'artista che propone il suo lavoro di firmare un accordo in cui si garantisce che se la major sta già lavorando a un progetto simile, l'artista rinuncia al diritto di citarla reclamando l'eventuale furto dei propri, analoghi contenuti.

Gli esempi concreti dei pasticci che possono crearsi non si contano: in campo musicale una causa recente è quella che ha visto protagonisti i Men at Work, pop band degli anni Ottanta che molti ricorderanno. I musicisti sono stati citati, e condannati, per aver plagiato una vecchia canzone australiana, la cui linea melodica è finita nel pezzo di flauto della famosa e accattivante canzone Down Under.

Nel mondo dei libri, Dan Brown (Il Codice Da Vinci), Stephenie Meyer (Twiight) o, in Europa, J.K. Rowling (Harry Potter), sono solo alcuni dei nomi che si possono fare e che si trovano alle prese con citazioni, un giorno sì e l'altro pure, da parte di perfetti sconosciuti che il più delle volte cercano di rosicchiare una fetta della gigantesca torta con espedienti patetici, quando non addirittura truffaldini.

E quando le richieste non arrivano da terzi, spesso sono i collaboratori, o gli ex collaboratori, a citare l'artista. Il caso più frequente è quello in cui non si stabiliscono dall'inizio i confini compositivi, col risultato che, se una canzone ha successo, ecco la lotta intestina per stabilire chi l'ha effettivamente scritta, quando nei credits era stata attribuita a un'intera band o a un intero team per il semplice quieto vivere di tutti gli ego coinvolti.

Spesso l'avvocato dello spettacolo finisce per operare addirittura come un agente, perché oltre all'esperienza che quest'ultimo può vantare una conoscenza molto più approfondita della materia legale e alcuni artisti rinunciano alla prima figura ma non rinunciano alla seconda.

(Bartolo da Sassoferrato)