Lettori fissi

martedì 20 ottobre 2009

COME TI INTRODUCO TWITTER IN TRIBUNALE


Gli USA, l'Australia e la Gran Bretagna si dimostrano i Paesi più all'avanguardia per quanto riguarda l'uso di Twitter applicato al campo legale.

Il vero pioniere è stato il giudice federale americano Thomas J. Marten, che la scorsa primavera ha concesso al giornalista Ron Sylvester del Wichita Eagle di usare Twitter per seguire il dibattimento di un processo a carico di una gang e di trasmettere così aggiornamenti in tempo reale alla propria testata.

Sylvester, il cui account su Twitter si trova a questo link, aveva in realtà già usato la piattaforma in altri processi nelle corti statali, ma mai prima d'ora in una corte federale.
Infatti le procedure federali generalmente proibiscono in aula l'uso di telecamere, computer e microfoni, anche se il Congresso sta spingendo per consentire l'introduzione di tali mezzi in tribunale, qualora il giudice lo ritenga opportuno. E Twitter potrebbe essere proprio la testa d'ariete in grado di sfondare il muro di diffidenza delle toghe.

Il giudice Marten, in proposito, ha dichiarato che "maggiore è la misura di ciò che possiamo fare per aprire il processo al pubblico, maggiore sarà la comprensione da parte del pubblico".

In Australia la toga 'illuminata' appartiene invece al giudice Dennis Cowdroy, che ha permesso a due cronisti del ZDNet Australia di usare Twitter per seguire il caso di pirateria che è al suo vaglio.

Cowdroy ha sostenuto che "il pubblico ha un diritto legittimo di essere pienamente informato dei procedimenti, in particolare quelli che hanno attirato un interesse considerevole. Usare Twitter può servire per informare il pubblico in modo più veloce e completo rispetto a ciò che consentono i media tradizionali”.

E sempre a proposito di Twitter applicato alla giustizia, è notizia recente quella di un commentatore politico britannico che avrebbe ottenuto l'autorizzazione del tribunale di inviare un'ingiunzione 'cinguettata' per inibire l'uso di un falso account aperto a suo nome. La testata Punto Informatico ha riportato dettagliatamente la vicenda a questo link.

(Bartolo da Sassoferrato)

domenica 18 ottobre 2009

TEMATICHE LEGALI PER I SITI WEB


Qualche segnalazione utile in merito all’attenzione, anche sotto il profilo giuridico, che un sito ben fatto richiede.

A questo link, in Italiano, un riepilogo sulle condizioni d’uso, sul trattamento di dati e su alcuni problemi relativi all’altrui proprietà intellettuale che è sempre necessario tenere presente a scanso di potenziali conflitti.

A questo link, in Inglese, un utile generatore interattivo per ottenere un modulo di policy disclosure e a quest’altro un secondo, analogo generatore per ottenere un modulo sulla privacy.

Chiaramente, negli ultimi due casi, si otterranno documenti modellati in base alla legislazione americana ma, tenendo conto degli opportuni 'mutatis mutandis', si tratta di due strumenti utili per configurare una prima bozza da sgrezzare e dettagliare successivamente.

(Bartolo da Sassoferrato)

martedì 13 ottobre 2009

DISNEY SI AGGIUDICA WINNIE THE POOH MA VEDE A RISCHIO I SUPEREROI


La Disney si aggiudica, a seguito di una causa durata diciotto anni, il pieno sfruttamento dei diritti su Winnie the Pooh.
Un personaggio che vanta una storia da ‘legal thriller’ non esattamente in linea con l’immagine tenera e batuffolosa che istintivamente gli attribuiamo. L’orsetto è stato infatti al centro di feroci lotte legali ed economiche a volte condotte oltre il filo della legalità.

La vicenda affonda le radici negli anni ’30, quando Stephen Slesinger ottenne dal creatore dell’orsetto, A.A. Milne, i diritti di sfruttamento del merchandise.
Dopo la morte di Slesinger, nel 1983 la vedova cedette tali diritti alla Disney, che mise in campo tutta la sua potenza di fuoco per ricavarne profitti milionari.

Nel 1990 tuttavia, gli eredi Slesinger contestarono al colosso di Burbank l’inadempienza contrattuale, sostenendo che la società non era stata trasparente nell’elencazione di tutti i profitti ricavati dallo sfruttamento di Winnie. Di conseguenza, la famiglia Slesinger avrebbe ricevuto royalty inferiori a quelle effettivamente dovute. Ma l’accusa, che era stata corroborata da documenti segreti rubati alla Disney tramite investigatori privati assoldati dagli Slesinger, si ritorse contro questi ultimi e il giudice rigettò le istanze.

Il fulcro della lotta si spostò allora in un tribunale federale, dove le parti si fronteggiarono a suon di presunte violazioni di marchio e diritto d’autore da un lato, e di richieste di poter cessare di corrispondere le royalty dall’altro.

Ora il giudice Florence-Marie Cooper ha posto fine alla quasi ventennale faida, stabilendo che marchio e diritto d’autore appartengono legittimamente alla Disney. Tuttavia questa dovrà continuare a corrispondere agli Slesinger le royalty ogni volta che Winnie e i suoi amici appariranno in pellicole o sotto forma di articoli di merchandise.



I guai legali non sono tuttavia finiti: a neanche un mese dal colpaccio rappresentato dall’acquisizione della Marvel, gli eredi di Jack Kirby, creatore di super eroi quali Thor e Capitan America hanno citato Disney, assieme a Marvel, Paramount, Universal, Sony e Fox minacciando l’ennesima guerra di copyright.

Peggio di una soap opera...

(Bartolo da Sassoferrato)

giovedì 8 ottobre 2009

TWITTER SCAMPA D’UN SOFFIO ALLA SUA SECONDA CAUSA


E' durata solo un giorno la seconda vertenza giudiziale di Twitter, sollevata dal distributore di gas Oneok Inc.

L’accusa era di violazione del marchio, e visto che recentemente quello di Twitter è stato quantificato in un miliardo di dollari la richiesta risarcitoria poteva costare salato.

La causa scatenante è stata permettere a un utente anonimo di usare il nome ONEOK - laddove su Twitter esisteva già un account ufficiale di Oneok, denominato ONEOKNews - e di ‘twittare’ in almeno un paio di occasioni notizie sulla società, dando così l’impressione che si trattasse di un portavoce riconosciuto.
Velocissima la reazione di Oneok, che dopo aver mandato una mail a Twitter con richiesta di chiarimenti, a fronte del rifiuto di quest'ultima di fornire dettagli sull’account e di trasferirlo alla società, ha depositato fulmineamente una citazione presso il tribunale del distretto di Tulsa.

Solo a questo punto Twitter ha accettato di trasferire l’account ‘malandrino’ a Oneok, che ha conseguentemente abbandonato subito la causa.

La vertenza getta luce su interessanti implicazioni, in quanto la crescente popolarità di Twitter e la sua peculiare natura, che in alcuni casi assume qualità miste di marchio e testata assieme, darà sicuramente adito a problemi simili a quelli riservati ai marchi di servizio e ai domini.
Molti utenti infatti usano Twitter per produrre contenuti e veicolare informazioni ufficiali riguardanti la propria attività e non è difficile immaginare che i segni distintivi, ma anche le implicazioni col diritto d’autore, sono cani dormienti pronti a svegliarsi.

Resta ancora in essere, comunque, la causa La Russa, originata lo scorso giugno da un tizio che si era spacciato per il manager della squadra di baseball Cardinals di St.Louis. Il comportamento aveva così provocato l’ira del manager autentico, il quale ha citato Twitter per violazione e annacquamento di marchio, cybersquatting e falsa appropriazione di nome e di rappresentazione internazionale.
E’ stata proprio questa vertenza a indurre Twitter a mettere a punto un servizio, ancora in beta, di verifica dell’account, che si concreta nell’apposizione di un bollino azzurro con una spunta nell’angolo superiore destro del profilo. Il controllo operato da Twitter si basa sulla semplice idea di verificare che nel sito o in qualsiasi canale ufficiale del presunto titolare dell’account ci sia effettivamente un link al medesimo.

Chi desidera farsi verificare, perché si trova alla prese con usurpatori, può compilare il modulo che trova sotto forma di link al penultimo questa pagina http://twitter.com/help/verified


(Bartolo da Sassoferrato)