Uno dei motivi per cui mi piacciono gli Americani è che sono sempre un passo avanti a tutti.
Mentre in Italia veleggiamo, tutt’oggi, prevalentemente con la forma mentis dell’avvocato rampante stile anni ’80, magnificato dai demenziali cinepanettoni della premiata ditta De Sica-Boldi-Vanzina, già dalla fine degli anni ’90 in USA ha iniziato a circolare una nuova filosofia sulla figura del legale, una filosofia stile ‘New Millenium’. E sono nati gli avvocati olistici.
Si tratta di colleghi che intendono la professione in modo molto diverso da quella impressa nell’immaginario collettivo, cioè quella dello squalo cui interessano solo i soldi, oppure, nella migliore delle ipotesi, quella un po’ rustica dell’Azzeccagarbugli manzoniano.
Gli avvocati olistici si pongono infatti come una sorta di ‘guaritori’ dei conflitti, di risolutori di problemi e dispensatori di consigli utili a superare le diatribe, in cui è vista un’opportunità di crescita per tutte le parti coinvolte, piuttosto che l’ennesimo colpo alle loro coronarie.
Se pensate che si tratti solo di mistica che vi strappa un sorrisetto stiracchiandovi appena i lati della bocca, se vi appare una ‘reverie’ tutta chiacchiere e distintivo, se vi suona come una ‘celestinata’ propagandistica, significa che vi è sfuggita, nel concreto, la nascita di nuove realtà (anche in Italia, si veda il Progetto Conciliamo), che cercano di porsi come alternativa al modello legale classico costituito da due contendenti che – nella persona dei rispettivi legali - si fronteggiano ferocemente e alla fine, non trovando una mediazione perché nessuno vuole cedere di un millimetro, si rivolgono a un terzo super partes (giudice o arbitro), il quale giudicherà in base a una serie di strumenti ‘oggettivi’ (per quanto possa esistere in questa Dimensione una qualsiasi cosa che possa fregiarsi di questo titolo, da cui le virgolette).
Nel caso della conciliazione, la disputa verrà trasferita invece su un terreno in cui il conciliatore (che può anche essere un avvocato con alle spalle apposita formazione), si adopererà con entrambe le parti e i rispettivi legali - in una veste a mezza via fra il consulente e il mediatore - per individuare, grazie a una serie di incontri dedicati, quali siano, anzitutto, i diritti e gli interessi in gioco, così come le alternative e i limiti negoziali. Ma non solo: al di là del caso concreto, questo procedimento può fare emergere le ragioni profonde che spingono le parti in una determinata direzione e per le quali, spesso, la disputa in sé è solo un pretesto per esternare bisogni e disagi più profondi, quasi come un outing psicanalitico.
Non intendo certo paragonare le due associazioni, quella americana e quella italiana, ma sottolineare solo che, alla base, entrambe hanno un’idea in comune che va oltre il granitico e atavico faccia a faccia con cui è stata intesa finora la professione. E che entrambe possono suggerire spunti interessanti per qualsiasi operatore del diritto, in modo da superare una formula che ormai sta stretta ai tribunali, ai clienti e anche a molti giudici e avvocati.
Non so a voi, ma questo volto umano del diritto, questa sorta di psicanalisi legale, questo outing maieutico… “A me” - per parafrasare la pubblicità di un famoso caffè – “me piasce”.
(Bartolo da Sassoferrato)